Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

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Giornale di Boves, giugno 2010  Giugno 2010   Torna alle categorie

Sergio Dalmasso

Una vita di coerenza ed impegno politico, tra il Cuneese, Torino e la Riviera, tra Che Guevara e Trotsky  

Sergio Dalmasso, un comunista a Boves

 

Sergio Dalmasso e' personaggio notissimo a Boves, pur con un nome che vanta alcune omonimie in zona... Anche adesso che impegni politici in Regione lo tengono molto tempo a Torino, facile è incontrarlo, il sabato e la domenica, magari in piazza, durante il mercato, o a qualche iniziativa politica o culturale locale. In tempi nei quali quasi tutti, “politici” in testa, curano attentamente “l’immagine”, l’aspetto di Dalmasso è chiaro “manifesto esistenziale”, di una figura senza tempo, eterna ed immutabile, attraverso sobrietà del guardaroba di un insegnante parte della generazione che “ha fatto il Sessantotto” (la famosa contestazione studentesca), raramente aggiornato, con sparute cravatte e giacche portate in maniera molto “casual”, magliette e maglioni dal collo alto, sciarpone, berretti con visiera, giacconi ed impermeabili con cintura alla vita...

Quando gli chiediamo di conversare con lui, sul mezzogiorno di una domenica in bilico tra squarci di sereno ed acquazzoni, tra primavera ed estate, acconsente gentile, pregandoci solo di non trattenerlo troppo, visto che deve rientrare presto, per proseguire uno scritto su “Ernesto Che Guevara” (il rivoluzionario argentino-cubano di cui ricorrono gli ottanta anni della nascita) per i suoi “Quaderni del Cipec” che pubblica periodicamente.

Poi, comincia a parlare, con voce ferma e sicura, un discorso in cui nessun pensiero pare non aver attraversato la mente almeno decine di volte, quasi ad esorcizzare una timidezza che continua ad intravedersi.

Classe 1948, quella di personaggi che tanto hanno inciso, per attivismo ed impegno, nella vita locale, ha sfilato alla recente festa in Piazza, a Pasquetta. É figlio di Aldo, bovesano DOC, impiegato comunale ed uno dei fondatori della locale sezione AVIS (nel 1968): “Mia madre, in tempo di guerra, era sfollata da Genova, e qui conobbe mio padre... Di qui questi due aspetti del mio rapporto con Boves: l’esserne molto legato, l’amare ritornarvi, piccola comunità di amici e conoscenti, da sempre, ma, allo stesso tempo, essere attratto dalla grande città, da quello che offre, oltre al sentire, fortemente, l’assenza del mare, che adoro”.

Crebbe in tempi nei quali tutto sembrava destinato a cambiare, persino in meglio, in cui era naturale “l’impegnarsi”, non eccezione, atteggiamento singolare, quasi da “persona strana”, come adesso...

“Anche mio fratello Marco era molto attivo, in quegli anni... Poi ha fatto scelte di lavoro e famiglia... Ho studiato nella terra di mia madre, filosofia e storia, all’Università di Genova... Feci parte del Movimento Studentesco sia a Cuneo, quando frequentavo il Liceo Classico, che a Genova. Nel capoluogo ligure entrai, nel gennaio del 1970, nel gruppo del ‘Manifesto’, che, poi, fondai a Cuneo... Nel 1974 questo si fuse con altri gruppi e nacque il PDUP(altra formazione della sinistra estrema), finché una delle tante scissioni e fusioni della storia della nostra area politica mi portò, nel 1977, nella Democrazia Proletaria del leader studentesco Mario Capanna, sin alla nascita, nel 1991, di Rifondazione Comunista, di cui fui il primo Segretario cuneese...”.

Ma non ha avuto solo incarichi di partito, è stato, più volte, Amministratore, Consigliere...

“La prima volta fu a Boves, tra il 1977 ed il 1980, quando sostituii il partigiano Bartolomeo Giuliano che si trasferiva, per lavoro, in Svizzera  (a fare il  preside in una scuola per italiani). Ero arrivato terzo in una lista di sinistra che aveva avuto due eletti (l’altro era, l’allora attivissimo, Giovanni Bianco)  Allora, il paese era democristianissimo, con ‘scudo crociato’ oltre il 60%). Fui, poi, due volte, Consigliere comunale a Cuneo, nel 1983-1984 e nel 1998-2002. Arrivai in Consiglio provinciale tra il 1995 ed il 1998, quando Rifondazione raccolse, nel cuneese, l’8,2% dei voti (complice un simbolo non ben identificabile del centrosinistra); quello è stato un ‘momento d’oro’ della nostra formazione... Dal 2005 sono Consigliere regionale, eletto nel ‘listino’ della Presidente Mercedes Bresso, insieme all’altro cuneese Elio Rostagno...”.

Attività politica portata avanti, quasi sempre (a parte periodo di ‘distacco’ all’Istituto della Resistenza, per un paio d’anni), in parallelo con la professione d’insegnante.

“Ho insegnato in Scuole Medie superiori a Saluzzo, Verzuolo, Mondovì, Ceva, Alba, Fossano, sino ad arrivare a Cuneo..”.

Non hai viaggiato poco...

“I giovani insegnati oggi viaggiano anche di più e sono precari per decenni”.

Pensi alla pensione ?

“In teoria potrei esserci da anni, ma non voglio ancora. Non voglio chiudere l’attività in Consiglio, ma a scuola. Fra meno di due anni terminerò il mandato in Regione e tornerò ad insegnare, spero al mio vecchio corso serale”.

Attivista politico, quindi, ma, soprattutto, insegnante, che parla delle sue esperienze più che altro come modo per raccontare le evoluzioni della società, non per sottolineare, certo, i suoi ruoli, presentati, con molta auto-ironia, minimizzandoli (lo si nota quasi a disagio, chiamandolo “consigliere”, o quando lo si vede con notabili bovesani, che fino a ieri lo ignoravano, e troppo bene non ne dicevano proprio, e che lo riveriscono  per la “carica istituzionale” ricoperta). Da anni cura i “Quaderni del CIPEC”, pubblicati a cura della Provincia, periodici di cultura e storia politica; sue sono i testi sul “Caso Giolitti”, il passaggio a sinistra, dai socialisti ai comunisti, di Antonio Giolitti, nipote dello statista Giovanni, sulle evoluzioni, in generale, della politica italiana dal Dopoguerra, sulla sinistra cuneese, su pagine nazionali del PCI, del PSI, della nuova sinistra... Utile ci pare citare una delle sue ultime pubblicazioni, “Rifondare è difficile”, in cui tutti i protagonisti, pur visti con affetto, sono raccontati in funzione del loro “passaggio” nel “partito”, soggetto centrale dell’attenzione.

Un po’ burrascoso ci è parso l’ultimo periodo per il tuo partito e per i tuoi rapporti con esso. Qual è la tua posizione attuale in questa fase?

“Ho votato la mozione di ‘Sinistra Critica’ all’ultimo Congresso, che, in sintesi, considerava giusta l’alleanza elettorale col centrosinistra, ma metteva in guardia sulla presenza al governo, temendo, come poi è stato, che ci avrebbe ‘massacrato’, visto che nessuna nostra proposta sarebbe stata accettata. Poi, non ho condiviso molti degli atteggiamenti di Rifondazione nel governo. La situazione è esplosa quando in nostro senatore Turigliatto non ha partecipato al voto per il “ri-finanziamento” delle nostre missioni militari all’estero. É stata l’occasione in cui ho lasciato la carica di capogruppo al Consiglio regionale. Attualmente sono  in Rifondazione a ‘ragionare’ sui motivi della sconfitta e a cercare di venirne fuori, anche se è molto difficile.”

Quali sono i motivi della sconfitta?

“Appunto, li  si ritrova in due anni ‘drammatici’ di partecipazione al governo. Come prevedevamo, nessuno dei punti sottoscritti nel programma è stato realizzato dal Governo Prodi: dalle leggi sul precariato, a quelle sulla immigrazione (è rimasta la ‘Bossi-Fini’), a quelle sulla scuola... Nulla si è fatto sulle leggi ‘personali’, per le pensioni, sul conflitto di interessi, sulle rogatorie internazionali, sui diritti civili, sulla laicità dello Stato, sulle coppie di fatto... Tutto ciò, ovviamente, ci ha penalizzato molto, ha creato crisi nelle strutture... Fausto Bertinotti ha fatto una campagna elettorale con capacità  e generosità, positiva ed intelligente, non demagogica...”.

Forse gli ha nuociuto l’atteggiamento pacato che ha dovuto tenere in quanto Presidente della Camera, terza carica istituzionale dello Stato...

“É chiaro che il passaggio da carica istituzionale a leader di opposizione sarebbe stata più facile se fosse stato un ministro...”.

Poi c’è stato il “voto utile” antiberlusconiano, il centrosinistra ha sfondato a sinistra e non al centro...

“Il ‘voto utile’ ha pesato molto... Molti elettori di sinistra hanno votato Veltroni per ‘disperazione’, credendo, anche, alle ‘fandonie’ da lui raccontate in campagna elettorale (‘Siamo alla pari! Abbiamo fatto la più grande rimonta della storia!’), pur avendo, lui, quei sondaggi che non si potevano pubblicare e che lo davano staccato dalla destra per dieci punti! Abbiamo perso anche per il ‘non voto’ di persone deluse, perchè le loro condizioni reali non sono cambiate in meglio nei due anni di Governo Prodi. Un’altra parte minore del nostro elettorato è andata verso le due formazioni minori nate nel nostro alveo, altri voti sono andati a destra (ad esempio alla Lega, pare, ndr), altri alla ‘Italia dei valori’ di Di Pietro...”.

Ed ora, il Congresso...

“Rifondazione va al Congresso più difficile dei suoi diciotto anni di vita... Personalmente credo si debba mantenere in vita il partito, proporre ‘rifondazione reale’ di tutte le forze comuniste d’Italia, legarsi a tutta la sinistra (non solo ai partiti) che lavorano sul territorio, in vari contesti... Ritengo necessario questo bilancio critico e serio sulla nostra sconfitta e sugli errori compiuti, con ricambio profondo, partito aperto, democratico verso le posizioni critiche, specie se hanno ragione, come è successo...”.

C’è chi ti definisce “trotskysta”...

“Questa definizione, oggi, non ha senso. Credo che il movimento comunista abbia avuto pagine gloriose ed importanti, ma abbia, allo stesso tempo, prodotto crimini ed errori. Si tratta di comprendere e ripartire, usando le ‘parti’ migliori, da Gramsci a Rosa Luxembourg, da Marx a Che Guevara, allo stesso Trotsky, nella sua critica alla degenerazione dell’Unione sovietica... Il problema, però, è legare questa storia e tradizione ai problemi di oggi, come diciamo da anni: il nodo pace e guerra, il dramma dell’impoverimento, il vicino rischio di catastrofe ambientale (col petrolio oltre i 140 dollari al barile), la questione ‘femminile’, fenomeni crescenti di immigrazione... Per questo serve una vera sinistra nel Paese e credo che la nostra disastrosa sconfitta elettorale peserà molto con il governo di destra e le sue politiche...”.

Parlaci del Sergio Dalmasso amministratore...

“Non sono nato amministratore, ho maggiore interesse per problemi politici e lavoro culturale, di formazione... Sono sempre stato molto presente a tutte le sedute dei Consigli di cui ho fatto parte (anche in Regione, almeno sino ad alcuni, recenti, problemi di salute), ho seguito con attenzione i problemi specifici. Credo, ragionevolmente, che questa sia la mia ultima esperienza amministrativa, ma il bilancio non è negativo: ho fatto quello che ho potuto, ho lavorato senza cercare visibilità, evitando ‘raccomandazioni e marchette’ (che lascio, volentieri, ad altri)... Ed ora lasciami andare, che mi aspetta l’articolo su Che Guevara!”.

 

Potrebbe già bastare ed avanzare, ma vorremmo aggiungerci qualche ricordo nostro personale di Sergio Dalmasso (cui molti articoli e lettere sono comparse sul “Giornale di Boves”). Lo conoscemmo personalmente nell’inverno 1992: prima (i bovesani è raro, si sa, che parlino bene alle spalle) ci era stato dipinto come sorta di “fanatico integralista”. “Tangentopoli” (quella che sarebbe diventata il “25 aprile” od il “Sessantotto” di noi, ventenni d’allora, la, poi delusa, possibilità di cambiamento) era alle porte, noi organizzavamo incontri politici pre-elettorali, nei quali cercavamo di invitare tutti, dall’estrema sinistra alla estrema destra (allora non si usava, adesso neppure, in fondo)... Per invitarlo passammo nella sede di Rifondazione, in Via Saluzzo, a Cuneo. La formazione politica, praticamente neonata, ci parve un “gioioso caos”, che aveva raccolto tutto quanto stava a sinistra dell’ex Partito Comunista Italiano (già allora, dopo la “svolta” del segretario Achille Occhetto, in sicura, anche se non sempre costellata proprio di trionfi, marcia verso il “centro”). In sale che avrebbero avuto bisogno di qualche “sistematina”, trovammo lui ed alcuni suoi “compagni”, molti giovanissimi, intorno ad un tavolo non proprio di “eleganza e decoro borghesi”, affascinanti, con la loro varia età e la loro diversa provenienza, a sognare il “cambiamento”, come inevitabile, in meglio... E lo portarono avanti, questo sogno, con impegno e passione, attraverso divisioni, compromessi, fusioni e scissioni,  per quasi due decenni... La mattina dopo le elezioni politiche del 1994, quelle del primo trionfo di Berlusconi, davanti all’edicola bovesana di Piazza Italia, sentimmo dire a Sergio Dalmasso, con orgoglio, rivolgendosi a Giovanni Tecco: “Tu coi democristiani  hai governato, io mai!”. Ma la vita, si sa, è crudele, ed i “rifondatori” si trovarono a governare coi “demoscristiani”, per fermare la “destra”, senza mai riuscire a dimostrare soverchio entusiasmo, magari nei “ballottaggi”, appoggiando i Quaglia, i Rostagno e i Prodi...

Vedemmo Sergio Dalmasso pallido e stanco, in tante campagne elettorali, dirci “mi riposerò dopo” (riteniamo pensando alle spiagge)... Ci trovammo, persino, ad “attaccare manifesti” (e lembi di tappezzeria), con lui... Resta uno dei pochi episodi del nostro “impegno politico attivo” di cui andiamo fieri, noi, di una generazione nata tra epoche contigue, di tanto impegno e sconfinato disimpegno, incapaci di credere sino in fondo, sperare davvero, “appartenere” completamente, al più nella condizione di provare, mai euforici, ad analizzare, capire, raccontare...